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DUE CHIACCHIERE IN COMPAGNIA di Ilaria Fulle

DUE CHIACCHIERE IN COMPAGNIA di Ilaria Fulle

Benvenuta a Ilaria Fulle! 

Ilaria grazie per essere qui con noi

– Allora, per iniziare e rompere il ghiaccio, iniziamo con la classica domanda: raccontaci qualcosa di te

Grazie a voi per avermi dato la possibilità di parlare di me e del mio libro.

Sono nata a Pavia, dove ho vissuto fino a pochi anni fa, finché mi sono trasferita  a Torino, una città che mi piace molto per la sua eleganza e l’educazione degli abitanti, automobilisti a parte. Sono un medico e una mamma, perciò mi barcameno tra lavoro e famiglia, sforzandomi di tenere le due cose ben separate. 

Amo il mare, la montagna la città, la campagna, la collina e pure il lago. Non preferisco nulla in particolare, o meglio, attenendomi solo alla definizione latina di preferire  (praeferre “portare avanti”) : porto avanti tutto. 

Sono un’entusiasta e mi affascina ogni aspetto dell’esistenza, adoro addirittura gli anni che passano, li considero un trofeo e un bonus da spendere per fare nuove esperienze con la maturità giusta per comprenderle meglio e apprezzarle di più. Grazie a Dio, soffro d’insonnia, così ho molto più tempo per fare un sacco di cose: scrivere, leggere e cercare, invano, di imparare a stirare le camicie da uomo.

-come prima cosa devo farti i complimenti per la copertina del tuo libro Stella Acuta Notturna. Molto delicata ed elegante.

Vuoi dirci qualcosa su titolo e copertina del libro?

Il titolo è tratto da un verso della poesia “Messaggio” di Antonia Pozzi, una poetessa di inizio ‘900, morta suicida a poco più di vent’anni, vittima di violenza psicologica da parte del  padre. 

In questa poesia, l’autrice invoca una stella acuta notturna perché splenda nell’oscurità dell’oblio che avvolge la morte, e io ne ho voluto fare  un simbolo di rinascita, un faro che illumini il cammino di tutte le vittime di violenza affinché nessuna sia risucchiata dalla dimenticanza e diventi un anonimo numero in una statistica.

La copertina invece, genialmente messa a fuoco dal mio editor e portata a compimento dai grafici della casa editrice, deriva dalla elaborazione di un acquerello di Claudia Manini, che ringrazio ancora di cuore per avermi permesso di usarlo. 

Il dipinto, bellissimo, si intitola Freddo e riproduce un paesaggio fluviale in inverno, così simile al parco del Ticino dove di svolge una parte importante di Stella Acuta Notturna.

-Trama ( VOLEVI DIRE TITOLO?)  e copertina non richiamano esplicitamente il genere thriller-psicologico, come mai queste scelte?

Il titolo vuole esprimere la speranza di non dimenticare. È troppo facile per noi, rapiti, stressati e al contempo coccolati dalla nostra vita frenetica, scordare che la violenza di genere esiste e serpeggia nel quotidiano, mutevole e infida nelle sue varie forme. 

Sappiamo che scotomizzare è una reazione  umana, un  meccanismo di difesa del nostro magnifico cervello ed è il motivo per cui, dopo un primo impatto doloroso con la notizia di un abuso, lo scansiamo reimmergendoci nella nostra confort zone che, come un enorme cerotto impermeabile, ci isola e protegge da ciò che ci può destabilizzare. 

Col mio romanzo vorrei strapparlo, il cerotto, esporre le ferite, parlarne, perché solo parlandone si può fare un primo passo verso la consapevolezza che è abominevole prevaricare la volontà altrui, depauperare un nostro simile della dignità negando rispetto e considerazione. 

Nello specifico, vale per le donne, ma è applicabile a qualsiasi essere umano  e per molte situazioni di abusi più o meno espliciti o ritenuti tali.

Nella copertina non ci sono immagini crude o scene del crimine perché, nonostante il plot di sviluppi attraverso degli elementi per certi versi associabili al crime, non è un thriller classico e soprattutto non è quello l’aspetto cruciale del romanzo. 

Quello che volevo era una cover che evocasse una sensazione di inquietudine: i colori sono freddi e il riverbero nel lago, peraltro a tratti ghiacciato, suggerisce scenari e verità nascoste e la stessa neve sulle rive insinua l’idea di solitudine. L’unica luce è la stella, quella guida che si fa compagna e che, nonostante tutto,  indica la via della speranza.

– Ho da poco terminato Stella Acuta Notturna e devo dire che è un libro molto forte che mi è entrato sottopelle. Quali sono state le motivazioni che ti hanno spinto a scrivere questo libro, di parlare di temi quali femminicidio, stalker, amori malati, manipolazione?

Purtroppo la violenza donne è ormai sempre più diffusa, non passa quasi giorno che quotidiani e TV non ce ne diano notizia,  producendo, però, l’effetto di cui dicevo: superati sgomento e indignazione iniziali, ci si difende allontanando il pensiero. 

Così ho pensato che forse un libro su un caso simile ai tanti, troppi, di cui si occupa la cronaca, avrebbe costretto a riservargli un tempo più lungo, un tempo abbastanza dilatato da poterlo riempire con la riflessione, una riflessione che magari può fare nascere anche  la volontà di discuterne, se non addirittura di impegnarsi per provare a contrastare questa piaga. 

Inoltre, quel tempo dedicato ai libri è frutto di una scelta precisa: decidi tu quando e cosa leggere, l’argomento non ti arriva dall’esterno e spesso prendendoti in contropiede. 

Ecco, credo e spero, che una lettura di questo tipo possa essere molto utile ad affrontare il tema con l’attenzione che merita, a sfidare il drago con coraggio, ben sapendo che la prima offensiva da sferrare è ammettere che c’è una guerra in corso  e che la vogliamo vincere.

 

-Sono temi importanti, attuali, ed è giusto parlarne il più possibile ma è difficile avvicinarsi all’argomento in maniera adeguata. Devo congratularmi con te perché questo tuo libro, secondo me, riesce a far comprendere in pieno almeno alcuni dei meccanismi malati che stanno dietro a molti fatti di cronaca. Potrebbe essere un obiettivo del libro quello di far “aprire gli occhi” o almeno “mettere una pulce nell’orecchio” a chi sta vivendo queste situazioni e non se ne rende conto?

Ti ringrazio per questa considerazione perché mi auguro di cuore  che possa essere d’aiuto. Non a caso, nel  racconto faccio emergere  la necessità di non sottovalutare mai i segnali di un attaccamento ossessivo:  spesso i cosiddetti “amori malati” non sono evidenti finché non sfociano in reazioni  pericolose. 

Alex, la protagonista femminile, si rende conto di aver trascurato alcuni indizi preoccupanti e ho voluto che lo realizzasse solo in un secondo momento perché nella realtà succede  di frequente,  un po’ per non enfatizzare attenzioni che potrebbero oggettivamente essere pure manifestazioni di interesse, un po’ perché, se scatta il sospetto che quelle attenzioni tanto innocenti non siano, comincia a serpeggiare il timore che raccontandole si passi per visionarie. 

Una volta poi esplosa la violenza, confidare di esserne vittima è un calvario perché subentra la vergogna e il senso di colpa, sentimenti  che inducono quasi sempre a chiudersi nel proprio dolore, fino a convincersi che sia tutto normale e a permettere all’uomo di perpetuare  indisturbato gli abusi.

Sicuramente si tratta di un libro a tratti tagliente, forse addirittura crudele, che ti entra dentro, come dicevi prima, ti rimescola, ti ferisce, ma poi spero riaffiori in superficie e trasmetta un “Messaggio”.

 

– Quanto tempo hai impiegato a scrivere Stella Acuta Notturna?

È stato un lavoro lungo, molto meditato e sofferto. Lo avevo iniziato parecchio  tempo fa, ma di recente ho deciso  di terminarlo, o meglio:  di riscriverlo quasi ex novo, perché, riprendendolo in mano, mi sono accorta che il tema centrale non decollava, rimaneva appesantito e intrappolato  dalla troppa rabbia che avevo impresso nella scrittura, rallentando la trama. 

Allora ho cambiato soggettiva, ho smesso di fare da tramite per   vedere gli avvenimenti con gli occhi dei personaggi. 

Da quel momento, la giostra ha cambiato musica, il ritmo è migliorato  e mi è sembrata l’occasione per introdurre eventi accessori ma fondanti che aggiungessero leggerezza (intendo, ovviamente, la leggerezza calviniana) e soprattutto ho voluto abbracciare il genere dell’intrattenimento, lasciando che le riflessioni, le considerazioni di maggior spessore sull’amore ossessivo, il possesso,  l’educazione sentimentale, l’etica medica,  restassero nascoste nelle pieghe dei fatti per poi sbucare fuori in modo indipendente nella mente delle lettrici e dei lettori.

 

– Ovviamente il personaggio che spicca su tutti è Luca. È stato difficile da caratterizzare ed entrare nella sua “mente malata”, nei suoi processi mentali?

A essere sincera, dar vita al bravo ragazzo dalle fattezze quasi angeliche dietro cui si nasconde un nevrotico che confonde gli insegnamenti materni con i dieci comandamenti, l’amore col dominio e che coltiva con maniacale soddisfazione la sua natura egoista e crudele è stata una sfida stimolante  e divertente . 

La difficoltà principale è stata evitare di trasformarlo in una macchietta: se non si dosano a dovere gli ingredienti,  un uomo mosso da pulsioni così forti, opposte e altalenanti rischia di sfociare nel grottesco. 

Io però ho scelto di non mitigarle, ho preferito mantenerle nella loro esasperazione e investire lui di una certa stabilità, una stabilità anomala, paradossale perché nasce e si regge sull’onnipresenza dell’instabilità. 

Luca è costantemente instabile, il suo lato affabile, azzarderei: adorabile, è sempre in bilico su un crinale che in un soffio lo può far precipitare nell’abisso della mostruosità. È questa costante precarietà la sua caratteristica peculiare ed è poi quella che lo definisce.

-Anche Alex è un personaggio molto complesso, segnato nel profondo dal suo passato e dal padre. Come nasce il suo personaggio?

Volevo innanzi tutto protagonista che sottolineasse  quanto la violenza sulle donne interessi qualsiasi ceto sociale. Un modo, il mio, per sfatare l’errata convinzione che ammorbi solo le classi povere, poco scolarizzate  e dislocate solo in determinate latitudini. Non è così.

Alex è colta, è un medico, forte e indipendente che porta nel cuore gravi ferite. Il padre era facoltoso, eppure gretto e prepotente, dispotico, oltre che  talmente maschilista da incolparla di essere nata femmina. 

Lei, di conseguenza, cresce spietata verso se stessa,  continuamente impegnata a dimostrarsi all’altezza di un uomo e incline ad assumere anche posizioni dure o da implacabile perfezionista. 

Accanto a questa sua sfaccettatura c’è poi quella più morbida, quella in cui alberga il desiderio di amare ed essere amata, che fa esplodere la sua esuberanza contagiosa, che rivela la sua natura  generosa,  ironica e appassionata. 

A volte le due Alex entrano  in conflitto facendola rintanare  in se stessa a  smaltire il corto circuito mentale.  

-Quello che mi chiedo, anche a distanza di alcuni giorni dalla fine della lettura, è: perché Fulvio non è entrato come un treno in casa di Alex dopo il primo messaggio? Anche qui abbiamo delle insicurezze personali profonde, ma è arrivato fino alla porta, ha tirato fuori le chiavi di casa! Perché si è fermato?

Lui è l’anti macho, il personaggio  che fa da contraltare a  Luca. Provato da un grave lutto di cui si sente responsabile, si è sempre imposto di non forzare mai i comportamenti altrui, men che meno quelli della persona che ama. 

Quindi, pur non accettando il rifiuto, non interviene, la lascia libera di gestire le sue scelte. Fulvio personifica il rispetto, un  rispetto estremo, incondizionato, puro. Credo che la chiave  per conoscerlo a fondo sia svincolarsi dall’ormai obsoleto quanto resistente concetto del cavaliere  impavido e risolutore che ci salva. 

A pensarci, è persino un’idea un po’sessista, no? Si dovrebbe piuttosto sognare un principe azzurro che non si arrende ma che sa darci tempo, che ci  tende la mano ma senza la pretesa che sia più salda della nostra, che c’è sempre  ma non si avvicina, se non vogliamo. Ecco, Fulvio è  questo.

 

– in ogni mia intervista non manca mail una domanda sui “processi mentali degli scrittori”. Quando scrivi hai dei rituali particolari che segui? Qualche gesto scaramantico, un luogo preferito in cui scrivere?

Non ho rituali scaramantici e scrivo dappertutto, chiusa in una bolla in cui esistiamo io, il mio computer o i miei block notes e il mio irrinunciabile amico vocabolario.

La scrittura parte spesso da una parola o una frase che sento, casualmente, in una canzone o alla televisione o per strada. 

Succede come per le slot machine: la parola giusta genera a cascata pensieri, personaggi, situazioni che ho la necessità di mettere su carta. E all’improvviso, nasce un personaggio, con le sue caratteristiche e la sua storia. 

Sono momenti in cui l’istinto si fa dispotico perché mi impone di annotare subito, ovunque sia, le prime intuizioni e infatti le mie borse sono sempre piene di pizzini con frasi, dialoghi, abbozzi di descrizioni. È una  fase quasi magica, di certo  molto creativa e mi lascia stupita ogni volta. 

Un attimo prima penso di non avere idee nuove e quello successivo  ne ho la testa piena. Poi, naturalmente, segue tutto il lavoro di studio per aggiustare e perfezionare.

– cosa ti ha avvicinata alla scrittura e ti ha poi spinta a pubblicare il tuo primo libro?

Ero molto piccola quando  la mamma mi leggeva le favole, soprattutto Pinocchio e fu proprio l’opera di Collodi a farmi fare i primi passi verso il piacere della scrittura. 

Ricordo l’emozione osservando come da semplici ghirigori neri su una pagina, quello per me erano allora le lettere,  sbucavano fuori mondi e personaggi che sembravano vivi e presenti. 

Ne ero talmente affascinata e incuriosita che chiedevo a mia madre: “Dove vanno Pinocchio, Geppetto e  la fata Turchina dopo che hai smesso di leggere?” e lei: “ Restano qui, tra le pagine”.

Così, poco a poco, decisi che volevo giocare con le parole e  provare a inventare storie.

 

– se dovessi chiederti un consiglio su un libro che, secondo te, non deve assolutamente mancare nella mia libreria, quale mi diresti? 

Nudi e crudi di Alan Bennet. Il suo umorismo mi fa volare.

E Pinocchio ovviamente, se avete bimbi, ma è adatto anche ai grandi.

 

-ci sono altri progetti letterari nel prossimo futuro?

Sto lavorando a una raccolta di racconti. Ormai da qualche tempo, il racconto ha riacquistato l’importanza che merita e per chi scrive è una sfida nella sfida  perché si deve saper gestire al meglio uno spazio limitato, far propria la potenza della sintesi, impresa affatto semplice.

Ho anche  cominciato la prima stesura di un altro romanzo a cui mi sto appassionando molto. Vorrei giornate lunghe il doppio per potermici dedicare di più.

– spero di non essere stata troppo invadente con le mie domande. C’è qualcosa che magari non ti ho chiesto ma vorresti condividere con noi?

Nessuna invadenza, anzi. Circa le mie speranze, la prima è che i lettori di Stella acuta notturna non si lascino annichilire dalla durezza della tematica e che,  concentrandosi  sulla  stella come  simbolo di rinascita, elaborino il turbamento fino a trasformarlo in consapevolezza e voglia di agire per sradicare una mentalità traviata, che ci piega dalla notte dei tempi. 

L’altra speranza è che venga letto anche dai giovani, maschi e femmine, perché è esiziale che le nuove generazioni siamo sempre più sensibilizzate a riguardo: è il solo modo per creare un substrato solido su cui porre le fondamenta di relazioni sentimentali sane.

Ilaria ti ringrazio tantissimo a nome mio e del blog per il tempo che ci hai dedicato e spero di leggere presto altri tuoi libri.

Grazie a te, Simona, per questa piacevole chiacchierata

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